DANIELLE OFRI. COSA DICE IL MALATO, COSA SENTE IL MEDICO.

Il Pensiero Scientifico Editore, 2018

Recensione di M. BOBBIO

I chirurghi più dei medici e i medici più degli infermieri sono convinti che l’intervento o la prescrizione siano l’unico strumento che faccia guarire; tutto il resto sono chiacchiere. Del resto nelle università si insegna che contano solo le competenze tecniche, preparando gli studenti a leggere una TAC, a interpretare un ECG, a valutare un insieme di esami ematochimici e non come i test vanno utilizzati per affrontare con i pazienti la sfida di una malattia grave, la paura di morire. La deriva concettuale dell’evidence-based medicine (che negli assunti iniziali presupponeva l’integrazione della ricerca delle migliori prove scientifiche con l’esperienza clinica e con i valori
espressi dal paziente) ha rafforzato questa opinione. Inoltre la stragrande maggioranza dell’aggiornamento dei medici (finanziato principalmente dai produttori di farmaci, protesi, apparecchiature mediche) rafforza il concetto che prescrivere un nuovo farmaco o un nuovo test ti renda aggiornato e competente. Danielle Ofri, internista al Bellevue Hospital di New York, scrittrice, redattrice e suonatrice di violoncello, nel suo recente libro “Cosa dice il malato, cosa sente il medico” dimostra come una buona comunicazione può condizionare in modo cruciale l’efficacia di qualunque terapia e lo fa raccontando storie di relazioni soddisfacenti e frustranti instaurate tra medici e pazienti. “Man mano che la medicina diventa più complicata – scrive la Ofri – con malattie più multiformi e complesse, il divario tra quello che i pazienti dicono e quello che i medici sentono e viceversa, diviene sempre più marcato”. Questo è il principale motivo per cui il paziente con la sua storia personale, familiare sociale, con le sue aspettative, desideri paure e valori si sente escluso dalla gestione della propria malattia, perché la sua salute si gioca soltanto nella scelta tra il farmaco A e quello B. Negli ultimi decenni molte voci si sono levate per richiamare l’attenzione dei medici a ricuperare il senso e il valore dell’ascolto del paziente, utilizzando argomentazioni
generiche, mentre in questo libro vengono riportati i dati di molte ricerche, nelle quali si dimostra come la definizione della diagnosi e della cura migliori quando il paziente ha potuto esprimere se stesso e come il tempo dedicato all’ascolto non è sprecato, ma un vero e proprio investimento: si commettono infatti meno errori, non si prescrivono farmaci e test inutili. La Ofri è consapevole che la questione della comunicazione è delicata e non riguarda solo competenze da imparare, ma implica aspetti emotivi messi in gioco tra due esseri umani che si confrontano. Con una serie di storie cliniche emblematiche, complesse, scritte con maestria, viene raccontato come gran parte delle
insoddisfazioni e dei fallimenti dipendano dalla reciproca difficoltà a capirsi.
L’autrice, come musicista, ci consiglia di acuire il nostro udito per capire cosa non va e anche per offrire l’empatia indispensabile per la guarigione perché, ribadisce “la più grande paura dei pazienti è di non esser ascoltati dai medici e di non ricevere quindi le cure di cui hanno bisogno”.

Qui puoi leggere l’intervista di M. Bobbio a Danielle Ofri