DI PAOLA EMILIA CICERONE

Emmebì Edizioni

Recensione di M. BOBBIO

L’esperienza di una malattia invalidante cambia la percezione del proprio corpo, la prospettiva della propria vita, il concetto di benessere e malattia, cambiano le abitudini consolidate e i rapporti con le persone più vicine, si viene travolti dall’angoscia della vulnerabilità. Ma soprattutto si è costretti fare i conti con la medicina. Così si può scoprire che l’incontro con un medico si trasforma in un fallimento, quando la soggettiva percezione del disagio si scontra con la logica del medico che vuole oggettivarla e incasellarla in una definizione diagnostica. Due mondi che faticano a colloquiare, nonostante che da decenni sia stato detto e scritto moltissimo in proposito. Paola Cicerone, una giornalista scientifica, si accorge piano piano che le palpebre si chiudono capricciosamente da sole e in modo altrettanto bizzarro si aprono quando decidono loro. Il neurologo che la visita considera in modo realistico, ma inquietante, che “il disturbo è invalidante, ma non grave”, sintetizzando la visione scientifica della Medicina, che non tiene conto delle esigenze della paziente. “Ho la sensazione di non interessargli molto – annota Paola Cicerone – parla poco e mi ascolta un po’ meno […]. Ho la netta sensazione di non riuscire a raccontare la mia storia, come speravo di fare, a spiegare le bizzarrie che potrebbero aiutare a spiegare il mio disturbo. Soprattutto, ad avviare un dialogo che aiuti a fare chiarezza e forse a trovare una soluzione. […] Con il medico non si dicono cose che si reputano culturalmente e socialmente non scientifiche”. Dall’insoddisfazione della medicina clinica la signora Cicerone passa attraverso la psicoterapia, l’agopuntura, la meditazione. “Io, che vivo tra medici e ricerche, mi scopro a pensare al neurologo che mi ha bollato con una condanna senza spiegazioni e senza appello, e alla medicina cinese che si è occupata di me, non dei miei sintomi, ma mi ha aiutata risolvere il problema”.  Sarà stata la psicoterapia, l’agopuntura o la meditazione a far si che dopo 6 mesi,il 4 marzo di alcuni anni fa, gli occhi non si sono più chiusi da soli? O il blefarospasmo si è risolto spontaneamente? Non lo sapremo mai; queste terapie però hanno dato alla paziente il sollievo che il neurologo non ha saputo offrire.

La letteratura di pazienti che raccontano la loro avventura è ricca e sta crescendo anche per merito dell’impulso dato dalla medicina narrativa. Per medici e infermieri leggere i racconti dei pazienti, che trovano il coraggio di ripercorrere le fasi più angoscianti della loro esperienza, è essenziale per imparare a diventare professionisti migliori. Professionisti che oltre a curare le malattie imparino anche a curare le persone.

Il libro è arricchito da un’ampia scheda su cosa sia il blefarospamo e dalle riflessioni della psicoterapeuta e dell’agopuntore su come hanno affrontato questo caso insolito.

Firenze 2017 – pag. 95 € 13

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