Elogio all’incertezza

Proprietà collettive e scelte individuali

di A. Bonaldi

 

La rivoluzione scientifica, avviata nel XVI secolo da Copernico e portata avanti da Galileo, Bacone, Cartesio, Newton, segnò un mutamento profondo nel modo di intendere la vita. In quel tempo furono poste le basi del metodo scientifico, si scoprì che il mondo è governato da precise leggi meccaniche e che la spiegazione dei fenomeni è racchiusa nei rapporti di causa-effetto che si stabiliscono tra cellule, molecole, atomi, elettroni, e giù, giù fino alla più piccola particella finora scoperta: il bosone di Higgs o la particella di Dio come qualcuno enfaticamente l’ha denominata, ritenendo che in essa si celi la spiegazione dell’intero universo!

Si è passati così da una visione del mondo di tipo organico, magico e imprevedibile a un mondo, inerte, ordinato e governato da leggi fisiche che non tollerano eccezioni e che lo rendono facilmente oggetto di previsioni. Da qui la tuttora irrisolta discussione su determinismo, destino e libero arbitrio, ben descritta dal famoso demone di Laplace, secondo il quale “possiamo considerare lo stato attuale dell’universo come l’effetto del suo passato e la causa del suo futuro. Un intelletto che a un determinato istante dovesse conoscere tutte le forze che mettono in moto la natura e tutte le posizioni di tutti gli oggetti di cui la natura è composta, se questo intelletto fosse inoltre sufficientemente ampio da sottoporre questi dati ad analisi, esso racchiuderebbe in un’unica formula i movimenti dei corpi più grandi dell’universo e quelli degli atomi più piccoli. Per un tale intelletto nulla sarebbe incerto e il futuro proprio come il passato sarebbe evidente davanti ai suoi occhi”.

Secondo questi principi la spiegazione di ogni cosa, la ricostruzione del passato e soprattutto la previsione del futuro, dipendono sostanzialmente da tre elementi: la conoscenza delle leggi che regolano la natura, la disponibilità di un numero di dati sufficientemente grande per descriverla e la messa a punto di idonei strumenti di analisi. Non restava, quindi, che mettersi al lavoro di buona lena e tutto si sarebbe finalmente chiarito. Era solo una questione di tempo.

Ai confini della realtà

Le cose però, non sono andate proprio come si pensava. Trecento anni dopo, mentre la scienza procede spavalda lungo i binari sicuri della fisica classica, a partire dalle geniali intuizioni di Einstein e di alcuni altri grandi scienziati del Novecento, l’intero sistema meccanicistico si è via via sgretolato. Si è scoperto che spazio, tempo e materia non sono assoluti; che nell’infinitamente piccolo i confini tra le particelle di materia e le forze che le tengono unite tendono a confondersi e che le leggi della meccanica, per quanto importanti, non sono in grado di spiegare molti fenomeni fisici. In breve, si apprende che il mondo è ben più complesso di come si poteva supporre e che le nuove conoscenze anziché dipanare i misteri del mondo ne aggiungono altri e di gran lunga più astrusi.

Se osserviamo dell’acqua dentro un bicchiere, ci appare immobile, limpida, omogenea e dato che risponde diligentemente alle leggi della fisica, possiamo prevedere cosa succede quando la scaldiamo, la raffreddiamo, la versiamo nel lavandino o ci facciamo il tè. A livello subatomico, però, la realtà è alquanto diversa. Prese una ad una, le particelle che compongono l’acqua non sono piccolissime gocce d’acqua. A questa nuova scala di osservazione le varie particelle appaiono in frenetico movimento e pronte a ribellarsi a ogni tentativo d’identificazione. Nessuno può fare previsioni su di loro. Non si sa come si muovono, dove si trovano, di cosa sono costituite e perfino passato e futuro si confondono e si capovolgono. Come ci ricorda Feynman: “Su scale molto piccole le cose non si comportano come onde, né come particelle, né come nuvole, né palle da biliardo, né pesi, né molle, né come nient’altro abbiate mai visto. Un vero rompicapo per una mente razionale.

Eppure alle nostre dimensioni i comportamenti tornano ‘normali’, ma solo perché abbiamo a che fare con un numero talmente grande di elementi che le loro interazioni danno origine a proprietà collettive (cosiddette emergenti) attraverso le quali si presentano ai nostri occhi e rendono il loro comportamento statisticamente prevedibile. In altre parole il mondo non è governato da leggi assolute che valgono nelle piccole come nelle grandi dimensioni. La realtà si può descrivere solo per approssimazioni mediante probabilità che, come ci insegna la statistica, si avvicinano al vero quanto maggiore è il numero degli elementi presi in considerazione.

Ma questi strani cambiamenti di scala valgono solo per i fenomeni fisici o in qualche misura possono essere validi anche nel modo della biologia e delle scienze sociali?

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