Il legame tra scienza e conoscenza visto attraverso la storia di una giovane donna che assume una blanda dose di antidepressivi ed è al terzo mese di gravidanza.

La signora legge che gli antidepressivi aumentano il rischio di autismo nel bambino. Come affrontare una notizia scientificamente documentata e allarmante? Dopo un paio di consulenze insoddisfacenti viene visitata da un ginecologo : il suo intervento la aiuterà a comprendere in che modo i  dati che emergono dalle ricerche scientifiche possono essere utilizzati nelle decisioni che riguardano la vita quotidiana.


di Marco Bobbio

Mi telefona una giovane donna. Ha letto su TIME un trafiletto nel quale vengono riportati i risultati di una ricerca sul maggior rischio di autismo nei bambini le cui madri hanno assunto antidepressivi durante il secondo e terzo mese di gravidanza [1]. La signora è incinta da tre mesi, prende una piccola dosa di un inibitore della ricaptazione della serotonina ed è nel panico. Ha telefonato alla ginecologa che le ha raccomandato di sospenderli, sostenendo che nelle donne depresse non trattate aumenta il rischio di parto prematuro e di parto cesareo. Ha telefonato alla psicoterapeuta che le ha detto che può continuarli. Non sa cosa fare. Le suggerisco il nome di un ginecologo che conosco da anni come medico che unisce la competenza clinica con l’aggiornamento scientifico e con un tatno buon senso. Lo chiamo per sottoporgli il problema. Non conosce l’articolo a cui fa riferimento TIME e mi chiede un paio di giorni per documentarsi.

La signora mi richiama una settimana dopo. L’incontro con il ginecologo è stato rasserenante. Mi racconta che ha iniziato a farsi raccontare come sta affrontando la gravidanza, quali sono i suoi timori e i motivi per cui aveva iniziato la terapia antidepressiva. Le conferma che i dati riferiti da TIME sono tratti da una ricerca epidemiologica nella quale, incrociando numerose variabili è stato osservato che l’aver fatto uso di antidepressivi nei trimestri finali della gravidanza raddoppia il rischio di autismo nei bambini. Le spiega che, cercando nel ttesto, ha scoperto che il rischio di autismo è di 7 bambini ogni 1000 nati nelle madri che non hanno assunto antidepressivi e di 12 su 1000 nella altre: cinque bambini in più ogni 1000 neonati. Le fa notare che sono pochi, ma soprattutto che le madri in terapia antidepressiva erano più anziane, più assistite dai servizi sociali, meno istruite e in minor percentuale vivevano con un partner fisso: tutti fattori che influiscono sul fatto che un bambino diventi autistico. Le analisi statistiche correggono i dati per le variabili che possono influenzare il risultato (variabili di confondimento), ma questo non esclude che altre caratteristiche, non prese in considerazione, contribuiscano a facilitare la comparsa di un disordine autistico. Inoltre le donne gravide in terapia antidepressiva erano affette da gravi malattie psichiatriche (sindromi bipolari, depressione, schizofrenia, disordini dissociativi, ossessivi, fobici). “Mi ha davvero fatto ridere – ha aggiunto la signora – quando mi ha detto: ‘ma le sembra credibile che se una donna schizofrenica, fobica o ossessiva, senza partner, assistita dai servizi sociali, ha un bambino autistico, si debba far risalire la causa all’uso degli antidepressivi in gravidanza?” Il ginecologo le ha quindi spiegato che le ricerche epidemiologiche definiscono una relazione di tipo statistico tra due eventi, ma non è detto che ci sia un rapporto diretto di causa-effetto, e soprattutto che è metodologicamente scorretto trasporre i dati epidemiologici, utili per generare ipotesi di ricerca, al rischio di un singolo individuo. Per spiegarle che certe associazioni statistiche si scoprono per caso, le ha raccontato di una ricerca degli anni ’80 nella quale si dimostrava che l’aspirina riduceva la mortalità nei pazienti con infarto, ma non in chi era nato sotto il segno dei Gemelli e della Bilancia [2]: i pazienti infartuati nati in quei periodi dovrebbero astenersi dall’assumere l’aspirina? Il ginecologo è passato infine a farsi raccontare in cosa consistessero i suoi disturbi. “Ma lo sa – mi dice la signora al telefono – che descrivendo i miei sintomi mi rendevo conto poco a poco che il mio malessere non aveva nulla a che fare con quelle malattie psichiatriche, ma si trattava di un disturbo facilmente controllato con la psicoterapia e una blanda terapia di sostegno. In quel momento ho capito che sto vivendo un periodo così felice della mia vita che ogni disturbo si è volatilizzato”. Il ginecologo la rassicura, dicendole che i motivi per cui ha iniziato l’antidepressivo non hanno nulla a che vedere con quelli delle donne della ricerca e che può provare a ridurre e sospendere la terapia, sapendo che potrà ricominciarla quando dovesse ricomparire qualche segno di disagio. Anzi, le dice, lo riprenda verso la fine della gravidanza, come supporto nel puerperio, che è un periodo emotivamente critico per tutte le donne. “E’ un grande, quel ginecologo” mi ringrazia la signora”. Per me è un medico slow.


 

1 Boukhris A, Sheehy O, Mottron L, Bérard A. Antidepressant use during pregnancy and the risk of autism spectrum disorder in children. JAMA Pediatr doi:10.1001/jamapediatrics.2015.3356

2 ISIS-2Collaborative group. Randomised trial of intravenous streptokinase, oral aspirin, both or neither among 17,187 cases of suspected acute myocardial infarction: ISIS-2. Lancet 1988; ii: 349-60.