Fate il più possibile per il paziente e il meno possibile al paziente

M. Bobbio

Fate il più possibile per il paziente e il meno possibile al paziente “è una frase di Bernard Lown che ho utilizzato decine volte per concludere le mie conferenze sulla filosofia di Slow Medicine, come messaggio finale in grado di sintetizzare in modo semplice, comprensibile ed efficace cosa voglia dire una cura sobria, rispettosa e giusta. È con profonda tristezza che ho appreso della sua morte avvenuta il 16 febbraio 2021, a oltre 99 anni. La medicina ha perso un ricercatore attento, ma soprattutto un clinico sensibile.

In un articolo comparso sul New York Times un paio di anni fa, un giovane medico, che aveva assistito Lown ricoverato in ospedale per una polmonite, raccontò l’insofferenza del vecchio clinico per la routine ospedaliera e per i quotidiani prelievi di sangue. Lown osservava che in ospedale si presta più tempo a normalizzare i valori ematochimici, piuttosto che occuparsi dei sintomi e risolvere le necessità del paziente. “La cura – spiegava al medico che lo aveva in carico – è stata sostituita dal trattamento, il prendersi cura è stata soppiantata dalla gestione, l’arte dell’ascolto da procedure tecnologiche”. Lown concludeva le sue riflessioni sostenendo che “i medici devono resistere all’industrializzazione della loro professione”.

Queste considerazioni non sono il lamento di un vecchio malandato e insofferente per le precarie condizioni generali, ma il compendio di una vita dedicata a riflettere su “L’arte perduta del guarire”, come recita il titolo del suo libro pubblicato nel 1996 e tradotto in italiano da Garzanti l’anno successivo. Si tratta di un testo di piacevole lettura che propone un’essenziale riflessione sulla necessità di cambiare il modo di curare e di assistere gli ammalati. Lown non è mai stato ostile alla tecnologia, ma ha sempre ribadito la necessità di non diventarne schiavi e di non confinare l’atto medico agli esami diagnostici, per quanto sofisticati essi siano. La guarigione dipende non solo dall’applicazione di strumenti e terapie sofisticate, ma anche dalle motivazioni, dalle energie che il medico e il paziente sono in grado di fondere per giungere alla guarigione. Nel libro sono riportate decine di casi di guarigioni inspiegabili con i parametri della medicina scientifica, ma che si realizzano come il frutto di una collaborazione profonda, sincera e fiduciaria. È indispensabile – prosegue il ragionamento di Lown – ritornare alle base fondamentali dell’arte medica: ascoltare i problemi che sanno dietro ai sintomi, toccare con garbo il paziente durante l’esame obiettivo come segno di solidarietà, usare parole che tranquillizzino il paziente per dimostrare empatica e occuparsi delle situazioni della vita che lo preoccupano.

Lown, professore emerito di cardiologia alla Harvard School of Public Health, non esprime quesiti concetti essendo stato ai margini della medicina ufficiale, ma proprio perché ha contribuito in modo determinante al progresso scientifico della cardiologia; ha inventato il defibrillatore, ha sostenuto la diffusione delle unità coronariche, ha proposto una classificazione delle aritmie ventricolari utilizzata per decenni (la classificazione di Lown). Mi piace però ricordarlo anche per aver ricevuto nel 1985 il premio Nobel per la Pace come co-fondatore dell’associazione dei medici contro la guerra nucleare – IPPNW  International Physicians for the Prevention of Nuclear War – e per aver fondato il Bernard Lown Institute che si occupa di sostenere una medicina giusta e attenta alle esigenze dei pazienti.

Per un completo profilo della sua carriera umana e professionale rimando al sito: https://lowninstitute.org/about/dr-bernard-lown/

Marco Bobbio