Garattini S. Brevettare la salute? Una medicina senza mercato. Il Mulino, Bologna 2022. Pg 125. € 12,00. Recensione di Marco Bobbio

 

In questi mesi di pandemia e con il dramma dei paesi in via di sviluppo che non si possono permettere di acquistare grandi quantitativi di vaccini per proteggere i cittadini dall’infezione, si è riacceso il dibattito sui brevetti dei farmaci in generale e dei vaccini in particolare. Come spesso accade, lo scontro si è radicalizzato su due opinioni estreme e sostanzialmente errate: ‘Senza brevetti non c’è innovazione’: le industrie non avrebbero interesse a investire senza garanzie di profitti. ‘Bisogna abolire i brevetti dei farmaci’: qualunque trattamento efficace deve essere messo a disposizione dei cittadini di tutto il mondo a prezzi accessibili. Con grande tempismo arriva nelle librerie la lunga intervista di Caterina Visco (giornalista e divulgatrice scientifica) a Silvio Garattini che affronta la questione dei brevetti in Sanità con la solita precisione, ricchezza di documentazione e riferimenti alla sua memoria storica. Non si tratta, come qualcuno potrebbe aspettarsi, di un pamphlet contro Big Pharma, anche se Garattini sa chiaramente da che parte stare (“Il mercato è incompatibile con la salute” “La salute non è una industria come le altre, per cui si devono prevedere regole particolari. La salute è una bene che riguarda ognuno di noi come individui e come collettività”). Un libro che sollecita una stimolante riflessione sui piccoli ma significativi passi da affrontare per contenere i danni provocati dalla brevettazione sistematica dei farmaci.

 

I brevetti in campo sanitario furono introdotti in Italia alla fine degli anni ’70 con lo scopo di promuovere nel nostro Paese ricerca e innovazione, in un settore allora caratterizzato da scarsa produzione e investimenti. Ciò permise la realizzazione di laboratori di ricerca anche nel nostro Paese; in quella fase la garanzia brevettuale divenne uno stimolo di sviluppo. Nel corso degli anni però i brevetti sono invece diventati strumenti di monopolio che hanno impedito la diffusione di farmaci utili, imponendo costi proibitivi. Prima di entrare nel vivo della questione, Garattini illustra la complessità del meccanismo brevettuale che non riguarda solo la molecola messa in commercio, ma anche i processi industriali e i meccanismi di produzione. Per esempio, per produrre l’adalimumab, un anticorpo monoclonale per la cura di malattie autoimmuni, l’industria farmaceutica deve acquisire 247 brevetti di prodotti intermedi e di processi produttivi.

 

L’obiezione che i brevetti, garantendo un margine di profitto alle industrie, sono indispensabili per investire e produrre nuove molecole che serviranno per curare o guarire le malattie viene smontata da Garattini quando fa notare che “la maggior parte dei farmaci brevettati e approvati non sono innovativi e non portano un valore terapeutico aggiunto […]. I brevetti di fatto proteggono i farmaci copia e non quelli innovativi”. Qui sta il punto fondamentale del pensiero di Garattini, maturato in decenni alla guida del più importante centro italiano di ricerche farmacologiche, l’Istituto Mario Negri di Milano. Il valore terapeutico aggiunto significa che non bisogna garantire la copertura brevettuale per qualunque molecola-copia che crea confusione, sottrae risorse economiche, incrementa i costi e non serve a migliorare la salute della popolazione, ma ha il solo scopo di far lievitare i bilanci delle industrie. Bisogna invece mantenere i brevetti solo per quei farmaci che si dimostrano clinicamente più efficaci di quelli già in commercio. Banale Watson; è sufficiente brevettare solo i farmaci che hanno dimostrato di offrire un vantaggio rispetto ai trattamenti disponibili. Questo provvedimento ridurrebbe la produzione di farmaci-copia (chiamati me-too dagli anglosassoni) e stimolerebbe l’industria alla ricerca e alla produzione di nuovi prodotti utili.

 

L’obiettivo principale dei Governi e dei Servizi Nazionali, che intendono tutelare la salute dei cittadini, deve consistere nel garantire l’accesso ai trattamenti efficaci e non accrescere i profitti di altri. Per questo Garattini traccia una strategia graduale, mirata a ottenere, a differenza della situazione attuale, un sistema di protezione della proprietà intellettuale che risponda meglio alle esigenze degli ammalati: modificare la legge sui brevetti solo per i prodotti che riguardano la salute, per la peculiarità del settore che deve garantire il benessere della collettività; vietare il brevetto del nome commerciale di un farmaco, impedendo alle industrie di ritagliarsi un mercato con la promozione di un nome ‘che rimane nella penna’, come dicono i Medici di Medicina Generale; abolire i brevetti dei processi industriali e dei meccanismi di produzione; impedire che vengano brevettate le molecole che hanno lo stesso meccanismo d’azione di altre in commercio e che non hanno dimostrato un ‘valore terapeutico aggiunto’;  definire la durata del brevetto sulla base dei volumi di vendita, dell’entità del profitto e del rapporto beneficio-rischio e non come adesso dopo parecchi anni. “Se non è migliore perché brevettarlo?” considera lapalissianamente, ma con un pizzico di ironia Silvio Garattini, che poi conclude fantasticando che “potrebbe essere l’epoca in cui la medicina non è più ‘mercato’, ma un’organizzazione al servizio di chi soffre. […] Sognare è pur sempre possibile, e se sognano in molti, i sogni possono diventare realtà”.