IL PROFITTO E LA CURA – La sostenibilità e le voci che non abbiamo ascoltato – Cinzia Scaffidi
Prefazione di Luciana Castellina

 

Recensione di Andrea Gardini

Non capita spesso di leggere un saggio tutto d’un fiato. Per mostrare con narcisismo di essere qualcuno (sia maschi che femmine rampanti) spesso i saggisti/e, orientati solo alla propria promozione, scrivono cose che sembrano sagge e per farle sembrare sagge scrivono libri pallosi, allontanando così i lettori. Per fortuna. Cinzia Scaffidi promuove invece le idee ed i motivi dell’ecologia, del cibo buono pulito e giusto, delle ragioni delle piccole comunità della Madre Terra, dei contadini che sfamano il mondo per davvero, e si fa da tramite per promuoverne le ragioni. Il suo ultimo libro “Il Profitto e la Cura – la sostenibilità e le voci che non abbiamo ascoltato-” (Slow Food editore, 2021. €. 16.50) si legge, appunto, tutto d’un fiato, perchè regala, finalmente, pensieri nuovi, connessioni utili alla nostra vita difficile di questi tempi, citazioni illuminanti di autori coerenti con una buona idea di futuro sostenibile. Ti passano davanti i disastri del ‘900 sotto forma degli esiti a distanza delle “mirabili scoperte” di alcuni premi Nobel (che nella mia Trieste si pronuncerebbe “No-bel”, anzi “Sai brutto”); l’invasione del pianeta da parte degli alieni della specie umana, distruttrice e violenta nella sua versione più ricca perchè sfruttatrice, quantitativa e maschile; la metafora universale della Genesi, del rapporto fra Caino, Abele e un Dio che vede tutto ma non sa, ne vuole frenare il male: le voci inascoltate dei troppi premi Nobel per questo o per quello, dei troppi Autori ignorati, tutti ad avvisare i potenti, per tutto lo scorso secolo, che a sfruttare il Pianeta in questa maniera si rischia di andare a sbattere, come stiamo andando a sbattere per davvero. Nessuno li ha ascoltati in tempo, come “nessuno che voglia decidere” ascolta oggi Greta, Papa Francesco e Carlo Petrini. Forse li ascoltano ma niente fanno di concreto per evitare il disastro climatico, ecologico, sociale, politico, umanitario, economico del Pianeta, disastri che hanno una base comune e che sono strettamente interrelati, e che erano stati annunciati da molte Cassandre del secolo scorso, come sempre inascoltate. Alla grande minoranza di ricchi che questi “decisori” rappresentano (perché gli pagano le elezioni) non conviene agire per la vita sul Pianeta. Conviene frenare i progetti di cambiamento, contrastarli, bruciare le foreste, l’Amazzonia, l’Africa, la California, La Siberia, rispondere con un bla bla bla. A loro conviene. Scaffidi ci racconta, con sintesi, precisione e onestà, i passaggi storici della specie umana da nomadi raccoglitori/cacciatori/pastori a stanziali agricoltori, ma sempre comunità in cui i singoli componenti si uniscono in obiettivi comuni di sopravvivenza, si danno una mano, si scambiano doni, i doni della vita senza frapporre altro se non l’aiuto reciproco, la relazione positiva e solidale. Il passaggio successivo, teorizzato come essenziale dagli ispiratori delle “rivoluzioni industriali”, è la distruzione, nel nome dello sviluppo (dei loro redditi) delle comunità locali autosufficienti, la rapina delle loro terre, l’industrializzazione dell’agricoltura e il consumo della fertilità dei suoli, anche a causa dell’uso massiccio di insetticidi, diserbanti, concimi chimici, che hanno rotto l’equilibrio della vita. Non si può ricostruirlo quest’equilibrio. Forse. Compare via via, nel corso degli eventi degli ultimi due secolo, il denaro come unica misura delle nostre azioni nella vita, e il concetto di valore del più forte: vale quello che vince, è vendibile, su cui si può speculare. Non vale quello che perde, il debole, l’antico, l’artigiano, il contadino che con la sua cultura millenaria e con fatiche enormi ha convissuto con la terra e la sua fertilità, il ritmo delle stagioni e la saggezza popolare. Tutto spazzato via dall’idea della monocultura, dei prezzi, della schiavitù dal denaro. E del contadino, che pagato poco, non sopravvive e si inurba, perdendo la propria identità, la propria conoscenza, anche il proprio onore. Per sostenere l’agricoltura bisogna avere pochi contadini da pagare, molte macchine e molta industria chimica. E molti soldi da scambiare in un mercato gonfiato. La fertilità del suolo è un Bene Comune che, privatizzato a scopo di profitto, rapidamente degrada, assieme alla comunità con cui conviveva, che, da comunità identitaria coesa e solidale diventa massa priva di identità nelle bidonville delle capitali degli Stati della Terra.
Agricoltura, scuola, lavoro e salute, festa e femminile/maschile sono gli altri temi che Cinzia Scaffidi tratta con grande cultura, quella accumulata e prodotta in tanti anni anche con Slow Food, e oltre, consapevolezza, senso del limite e voglia, nonostante tutto, di un futuro diverso da quello che noi tutti temiamo e che ci rende troppo spesso tristi, pensierosi e cupi. Continueremo ad esserlo, se pensiamo di affrontarlo, come ci viene sempre più consigliato, imposto, proposto, come monadi isolate e sole (“la società non esiste” affermava Margareth Thatcher, buonanima, rappresentante dei ricchi e speculatori sul pianeta). Gli atteggiamenti maschili, di potere, di conquista, di competizione, orientati alla quantità e allo spreco (l’1% della popolazione umana del Pianeta) in questa fase storica hanno ridotto al silenzio quelli femminili, di fratellanza, di relazione, di collaborazione e solidarietà, orientati alla qualità ed alla sobrietà ( il 99%). Un 99% che ha smesso di tacere.
Succede alla cura del suolo, succede alla cura delle persone. Ci viene presentata come ineluttabile la medicina industrializzata, anche se l’industria è quella delle cosiddette “medicine alternative”, che alternative al mercato non sono, ma favoriscono l’arbitrio basato sulla superstizione (e, in tempo di pandemia, la diffidenza e il rifiuto della scienza e degli strumenti che servono per la prevenzione, che vanno usati tutti e tutti insieme). Viene ritenuta, dal complesso medico-industriale, un disvalore la medicina artigianale, quella che ascolta le persone che non stanno bene, che fa una buona anamnesi e un buon esame obiettivo, quella che visita i pazienti, che costruisce la fiducia attraverso una buona relazione di scambio fra medico, infermiere, professionista, persona che sta male e la sua comunità di riferimento, quella che prescrive farmaci ed esami di efficacia dimostrata con sobrietà e attenzione, e ne monitorizza attivamente gli effetti. La Medicina Generale in questo momento è sotto attacco, cosiccome a suo tempo il buon artigianato, portato in fabbrica a fare prodotti standardizzati e l’antica e saggia cultura del contadino, che quel territorio lo rispetta perché ne fa parte in buon equilibrio reciproco. Noi, che non siamo ricchi, sappiamo tutti che quello che ci viene proposto non va bene. I pazienti alla catena di montaggio come gli ortaggi o le rondelle., ma quanto è difficile uscire da condizionamenti millenari per salvare la vita sul Pianeta che ci fa da madre con una cura sobria, rispettosa e giusta e riducendo il profitto alla sola soddisfazione del successo per una cura riuscita bene. da celebrare, di volta in volta, con una vera FESTA, come si faceva festa nelle comunità rurali per un buon raccolto! Non è però impossibile, se ci sono persone come Cinzia Scaffidi e tutti quelli che cita, che sono tanti, che ci indicano una strada diversa possibile e che attorno a loro, ad esempio, raccolgono i ragazzi di Glasgow, 100.000 ragazzi ieri l’altro, rappresentanti di milioni di giovani e vecchi insieme che ogni venerdì, ormai da più di due anni, manifestano in tutto il mondo per il loro futuro, che quell’1% gli ruba. Il lavoro di Cinzia Scaffidi fornisce a loro e a tutti noi qualche motivo in più per continuare a lavorare, senza indebito profitto monetario, volontariamente, per una cura sobria, rispettosa e giusta. Insieme. Se a partire da Assisi 2021, la Cura è il nuovo nome della Pace, il profitto allora è il nuovo nome della guerra.