Marco Geddes da Filicaia. La sanità ai tempi del coronavirus. Il Pensiero Scientifico Editore. Roma 2020. Pp. 221. € 22,00

Recensione di Marco Bobbio

La pandemia da Sars-Cov2 ci ha presi alla sprovvista. Noi cittadini di certo; all’improvviso abbiamo sostituito le chiacchere quotidiane con considerazioni sulla contagiosità dei virus, sulla letalità e la mortalità delle infezioni, sull’opportunità del distanziamento, sull’efficacia delle terapie, sull’induzione dell’immunità (di gregge e individuale) e all’improvviso sono cambiate le nostre vite e le nostre abitudini, chiusi in casa per un paio di mesi, evitando ogni occasione di assembramento in quelli successivi. La pandemia non ha preso però alla sprovvista gli esperti che avevano potuto studiare la diffusone di analoghe infezioni, i cui nomi sono entrati nel linguaggio comune (asiatica, aviaria, Ebola, AIDS, Mers, Zika) e che avevano redatto un Piano nazionale di preparazione e risposa a una pandemia influenzale già 14 anni fa. Eppure, il sistema sanitario si è trovato impreparato con la rapida saturazione dei posti in terapia intensiva, con il personale sanitario infettato, con la necessità di riservare interi ospedali al trattamento dei malati Covid-19, con mortali focolai in molte RSA.  Cosa è successo? A che punto siamo e quali iniziative dovremo prendere? Marco Geddes da Filicaia, epidemiologo, in passato direttore sanitario, assessore, vicepresidente del Consiglio Superiore di Sanità, analizza con una costante vena di umorismo, con molte considerazioni personali e con qualche divagazione che alleggerisce la lettura, una materia complicata da notizie contradditorie, da polemiche, da incertezze, da lutti, da sofferenze. Chiuso in casa per il lock down Geddes legge notizie, documenti e articoli scientifici, segue trasmissioni televisive, naviga nei siti internet, prende appunti e scrive questo piacevole libro che ci permette di ripassare la pandemia che ha cambiato le vite di tutti noi, attraverso una cronistoria non pedante. Ci ricorda “la dedizione, la professionalità e lo spirito di appartenenza che il personale sanitario ha dimostrato con un impegno impressionate” e la grande lezione di flessibilità di molte strutture ospedaliere a riconvertirsi da un giorno all’altro in un ospedale che si occupa di una sola malattia. Con “meditata sobrietà” affronta le questioni spinose che riguardano le possibili cause dell’accanirsi della pandemia in Lombardia, che ha il più alto numero di porti letti in terapia intensiva, soffermandosi (senza indicarlo come la causa prima del divario tra Lombardia e Veneto) su una sanità centrata più sulle eccellenze ospedaliere che sull’organizzazione del territorio. Quale lezione ne trae e ne dovrebbero trarre politici, esperti, manager della sanità? Innanzi tutto, che va sfruttata la ricchezza di un Sistema Sanitario Nazionale, rivalutato da migliaia di persone come “un bene comune” da difendere e da potenziare, che si debba puntare sulla rete di servizi di medicina generale e territoriale, sulla sorveglianza epidemiologica, sulla preparazione e sulla rapidità di assumere decisioni. Senza dimenticare una peculiarità degli italiani: la “tenerezza” che il personale medico e infermieristico ha spesso utilizzato fronteggiando con umanità e sensibilità le durezze di una emergenza mai affrontata in precedenza.